Il professor Riccardo Petrella è conosciuto in Italia e all’estero per aver lanciato, insieme ad altre organizzazioni, numerose iniziative internazionali per il Bene comune, e tra queste, nel 2012, “Dichiariamo illegale la povertà – Banningpoverty 2018”
Il 6 febbraio 2017 il docente universitario, che insegna a Lovanio (Belgio), è stato invitato alla facoltà di Economia di Ancona per parlare proprio di povertà, fenomeno “non naturale” da eliminare con la buona politica.
Con una disponibilità di cui gli siamo grati, il prof Petrella ci ha rilasciato un’intervista, poco prima del suo intervento pubblico sul tema “Non è utopica una società senza poveri”, a cui è intervenuto
il docente di Economia all’ Università Politecnica delle Marche, Mauro Gallegati.
A quale tipo di pubblico è rivolto l’incontro di oggi?
In generale, a tutti. In particolare, a quei rappresentanti di movimenti associativi che in Italia e qui ad Ancona si occupano dei problemi derivanti dalla povertà, e della lotta ai fattori strutturali di impoverimento nel mondo.
Quale motivo l’ha spinta a dedicare i suoi studi a questo problema?
Diciamo che la povertà non è un fatto naturale. Non è che si nasca poveri, si diventa poveri. La povertà è un prodotto di società ingiuste, da non accettare come inevitabile. Esistono e sono esistite società più giuste di altre, come le scandinave in un periodo d’oro, senza gli indigenti, senza gli esclusi, i privi di accesso ai beni essenziali. Ciò significa che possiamo combattere le cause della povertà e questo movimento è importante per ciascuno di noi, in quanto cittadini impegnati a eliminare un fattore di grave discriminazione.
Quale parte della popolazione mondiale è più colpita dell’impoverimento?
Innanzitutto le donne, soprattutto per ragioni sessiste: l’ineguaglianza tra maschi e femmine è sempre stata evidente nelle nostre società. Poi i bambini, perché sono i soggetti più fragili della famiglia, specialmente nei tanti Paesi dove la mortalità infantile è ancora elevata. I processi di esclusione sociale, oggi, toccano i vecchi che hanno perso il lavoro prima di arrivare alla pensione e quelli che non hanno mai lavorato. Nella forma avanzata di impoverimento che stiamo vivendo, sono loro i primi ad essere penalizzati. Ecco perché è importante non tanto sanare la povertà ma eliminarla. La carità cerca di aiutare i giovani, le donne, i cinquantenni disoccupati, i bambini in difficoltà, ma senza risolvere il problema. Non è portando una coperta o una scodella di zuppa ai senzatetto che sparisce il fenomeno. Anzi, si è notato che la politica dell’aiuto ai poveri ne fa aumentare il numero perché nel frattempo i processi di accumulazione del potere e della ricchezza da parte di pochi escludono sempre più persone.
Che aiuto potrebbe portare la nostra società?
La società non deve, a mio parere, aiutare i poveri. Deve invece creare un sistema di relazioni anche nel campo economico-produttivo per impedire i processi e le logiche di ineguaglianza. Non esiste un problema di aiuto, ma di cambio dell’organizzazione sociale e del fondamento del vivere insieme. Bisogna cambiare i principi che stanno alla base dei processi di impoverimento di una società che dice: “Noi siamo ineguali: l’uomo è ineguale rispetto alla donna, l’arabo è ineguale rispetto all’europeo, il nero rispetto al bianco”.
Ma lo Stato come potrebbe intervenire?
Creando le condizioni legislative e le politiche economiche, sociali e tecnologiche che non producano processi di ineguaglianza. Lo Stato deve garantire a tutti i beni e i servizi essenziali per la vita. Uno Stato non dovrebbe mai privatizzare la salute, mai privatizzare la terra, mai privatizzare l’acqua o il sole. Quando lo Stato fa questo, diventa una fabbrica di povertà.
Potrebbe essere utile un finanziamento?
Sarebbe utile piuttosto cambiare la logica della finanza, che oggi è privata e domina tutto attraverso un sistema volatile, al di là dei tempi umani, dei tempi sociali. La finanza attuale è soprattutto un’organizzazione di attività di speculazione attraverso processi illegali, criminali. C’è la finanza dietro il commercio della droga e delle armi.
L’indice di povertà aumenterà o calerà con il passare del tempo?
Beh, se si misura l’indice di povertà in base alla quantità giornaliera di dollari disponibili, come si limitano a fare i gruppi dominanti di oggi, è chiaro che il numero di indigenti crescerà, che la cosiddetta curva G rappresenterà distanze sempre maggiori in termini di ineguaglianza, basandosi unicamente sul reddito. Se invece misuriamo la povertà in termini di esclusione sociale, allora credo che si possa fare una buona politica di lotta contro i processi di impoverimento.
Janos Varga classe 3 N
Featured, povertà, Riccardo Petrella
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