Diversamente dal compito assegnatomi dalla prof., che consisteva nell’analisi di un articolo scelto tra quelli della rivista “Ristretti orizzonti”, curata dal carcere di Padova, mi sono subito fatta coinvolgere dal racconto emozionante della biografia di Francesco Viviano, che spicca come esempio di vita. Si è trattato di qualcosa di diverso dalla richiesta della prof. , perche l’autore della storia che tanto mi ha incuriosita è un assassino mancato, non è andato veramente in carcere, ed è diventato un inviato del quotidiano “ La Repubblica”. Si tratta di Francesco Viviano, anche autore del libro “Io, killer mancato”. Nasce e cresce in un quartiere malfamato, con persone povere e certe volte costrette a rubare. Il padre viene ucciso per un furto e lascia lui –un neonato-, e sua moglie che era appena diciannovenne. Cresce nella strada e, nonostante fosse amato dai suoi nonni e soprattutto dalla madre, che si faceva in quattro per lui per portargli un pezzo di pane ogni giorno, cade nella tentazione di fare furti, che erano frequenti nel suo quartiere. Una volta diventato adulto, arriva il momento, secondo la tradizione mafiosa, di vendicare il padre. Gli anni scorrono e un giorno si arma di nascosto con la pistola del nonno. Da un po’ tiene d’occhio l’uomo che ha ucciso suo padre, e una mattina pensa di rendergli giustizia colpendo a morte l’uomo che l’aveva reso orfano quella mattina. Questo pensiero gli era scattato anche perché stava attraversando un brutto momento nella sua vita: non poteva più proseguire gli studi, perchè doveva aiutare la madre e gli sembrava tutto inutile, come se gli cadesse il mondo addosso. Quella mattina, quando decide di avviarsi alla casa per compiere il delitto, vede una cosa strana, che il tizio esce con un bambino tra le braccia. E quando lui gli si posiziona dietro per mettere fine alla sua vita con tre colpi alla nuca proprio come aveva fatto lui con suo padre, si rende conto, guardando quel bambino, i suoi occhi e il suo sorriso, che sta per uccidere il padre e che gli avrebbe dato un dolore fortissimo proprio come l’ aveva provato lui.
Così, decide di non agire e di non raccontare quella storia a nessuno. Un altro pericolo lo poteva portare in carcere: un colpo grosso alla gioielleria eseguito con i suoi amici. Pensando invece ai sacrifici fatti da sua madre, si ferma e non partecipa, e il giorno dopo viene a sapere che i suoi amici sono stati tutti presi. Facendo tanti lavori, si imbatte in quello di fattorino dell’Ansa, ente per il quale la madre faceva le pulizie, dove lui ebbe occasione di interessarsi sempre di più al giornalismo. Nonostante non frequentasse più la scuola, non aveva smesso di leggere. Un giorno decide di realizzare un altro suo sogno: fare il capitano di marina. Partito dall’analfabetismo del suo ambiente familiare, popolato di rapine e caratterizzato da solitudine, rabbia, fame, con la prospettiva di una vita difficile e insoddisfacente, lui ebbe il coraggio di crescere, fino a diventare il grande giornalista che è oggi. All’età di quarantanni scopre di essere in fin di vita, e decide di raccontare la sua toccante storia: un esempio per tutti. Avere la forza di fermarsi e non commettere un reato è una cosa che non in tanti hanno la volontà di fare, perchè al giorno d’oggi le persone scelgono la via più facile, non hanno il coraggio di pensare con la propria testa, sono troppo pigre. Forse è vero, seguire la massa ti farà sentire parte di un gruppo, ma chi non accetta la diversità degli altri, nemmeno della persona che reputa un amico, vuol dire che non è in grado di amare fino in fondo. Stare con chi è uguale a noi non significa volere davvero il bene.
Francesco Viviano mi ha fatto molto riflettere: io mi sarei fermata? Oggi credo di sì, ma non posso esserne sicura. Ecco perché questo racconto resta un esempio di vita, per ricordare che ce la possiamo fare a comportarci correttamente e dignitosamente. Anche se non è affatto facile. Presto mi metto a leggere il libro e, se mi piacerà come immagino, ci sentiremo ancora per parlarne.
Pamela Shabani classe IVK
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